Parigi, un terrazzo e il bambù – parte 2
Paesaggiostudio
Dicevo nella prima parte di questo post che ho ormai il bambù fuori dagli occhi e so che cosa significa piantarlo in un vaso: scappa da tutte le parti e lo fa con estremo vigore.
Eppure il terrazzo con il bambù fotografato nel libro “Il giardino signorile”* non mi ha fatto venire voglia di voltare pagina: perché? Perché è semplice e fa buon uso di una pianta quasi mai adatta al vaso.
Siamo sui tetti di Parigi nei primi anni Sessanta e qui il bambù è utilizzato secondo scelte a basso costo e a basso impatto: come una pianta invadente che non invade.
Eccolo, assai robusto e durevole, usato come pannello a nascondere i vasi di rododendro, come rivestimento del parapetto del terrazzo e per chiudere alla vista un lato del terrazzo, evidentemente ritenuto troppo aperto ed esposto.
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A questo si aggiunge un leggero pergolato sempre in bambù e completa il tutto un gioco geometrico di canne che servono a chiudere un po’, ma non poi troppo.
Non so chi di chi sia l’idea di questo terrazzo: il libro parla di Madame Rosy Carita che, dopo essermi documentata un po’, ho capito essere stata a capo del famoso e omonimo marchio di bellezza insieme alla sorella. Partite in sordina da Tolosa negli anni Trenta e arrivate a scalare Rue du Faubourg Saint-Honoré a Parigi.
Non so se sia l’autrice del terrazzo o la proprietaria del terrazzo.
Resta il fatto che a madame una cosa va detta: questo è un terrazzo eco-friendly, sostenibile, riciclabile, facilmente rimovibile, smaltibile e, a quanto vedo, plastic free.
Madame, la ringrazio per la lezione. Si sa che le lezioni semplici sono le più difficili da preparare e anche le più efficaci.
La fonte fotografica potrebbe essere: Alexandre Choura o Holmes Lebel o Serge Lido o Maison et jardin: resto a disposizione per precisazioni e correzioni.
*“Il giardino signorile”, Görlich Editore, Milano, 1964. Il libro è tedesco e la prima edizione è del 1962. Una raccolta di progetti e realizzazioni a cura di Elisabeth Schuler, con revisione italiana di Gigliola Magrini (!) e consulenza botanica di Marco Marro.